نباید فراموش کنیم که در بسیاری از کشورهای جنوب حتی کارگران رسمی نیز حمایت نمی شوند. ما در قبال آنها متعهد هستیم زیرا کفش، لباس و کامپیوترهای ما را تولید می کنند. کارگرانی که در خط تولید و در خدمت برندهای بزرگ پوشاک، انفورماتیک و مواد غذایی قرار دارند. وضعیت کنونی باعث تعطیلی سراسری در کشورهایی چون بنگلادش، ویتنام، کامبوج و نیز صربستان، آلبانی و سایر کشورهای شرق اروپا گردیده است. برندهای معروف باید در قبال آنها وجدانشان را بیدار کنند و به یاد بیاورند که به لطف کار سخت آنها در قبال دریافت دستمزدهای اندک موفق به کسب سود گردیده اند و اکنون به سبب توقف سفارش ها باید خود را موظف بدانند به آنها کمک کنند. در بودجۀ آنان خللی وارد نخواهد شد در عوض صفحۀ تازه ای در تاریخ حقوق کارگران در سطح جهانی نوشته خواهد شد.
1- زمانی که علم اظهار ناتوانی می کند، راه های قدیمی
کشف می شوند و در مقابل یک ویروس ناشناخته و به شدت تهاجمی، از راهکار
انزوا به عنوان مهم ترین راه دفاع در برابر آن استفاده می شود. برای اولین
بار کشور چین از آن استفاده کرد و سپس نوبت به ایتالیا، اسپانیا، فرانسه و
تمامی کشورهای جهان رسید و چنانچه ابتدا به نظر می رسید که بزرگترین رنجش
همان از دست رفتن آزادی رفت و آمد بود به زودی متوجه شدیم که با پیامدهای
بدتری در عرصۀ اقتصادی روبرو هستیم. زیرا همراه با درب های منزل، درب های
ادارات، مغازه ها و کارخانه ها نیز بسته شدند.
2- چنانچه کارشناسان
اقتصادی نگران تولید ناخالص داخلی هستند ما نگران بقای خودمان هستیم. البته
تکنولوژی این امکان را فراهم آورد که با کامپیوتر به دورکاری بپردازیم.
لیکن اخیراً صندوق بین المللی پول طی مقاله ای خبر داد که دورکاری شامل همه
نمی شود نه به این علت که به ابزار و ارتباط نیاز است که همه از آن
برخوردار نیستند بلکه به این دلیل که شامل افراد تولید کننده یا ارائه
دهندگان خدمات مستقیم نمی گردد.
3- در خلال قرنطینه کارگران سراسر
جهان به سه گروه تقسیم شده بودند: آنهایی که همچنان در محل کار خود حاضر می
شدند، آنهایی که به دورکاری پرداختند و آنهایی که کار را رها کردند. درصد
اینها در کشورهای مختلف متفاوت بود.
4- کاهش صادرات، سقوط قیمت مواد
اولیه باعث کاهش مصرف و فعالیت های داخلی گردیده و تأثیری زنجیره وار بر کل
اقتصاد برجای گذاشته است. همچنین انتقال پول از طریق کارگران مهاجر به
خانواده هایشان در کشورهای مبدأ با کاهش روبرو گردید. بانک جهانی چنین
تخمین می زند که امسال به سبب قرنطینه میزان پول ارسالی از سوی مهاجران به
کشورهای فقیرتر با 20 درصد کاهش روبرو خواهد بود و از 554 میلیارد دلار به
445 میلیارد خواهد رسید.
5- سازمان جهانی کار پیشنهاد اقداماتی کم
هزینه به منظور حمایت از کارگران آسیب پذیرتر را می دهد. اقداماتی که کمک
می کنند آنها مشکلات ناشی از قرنطینه را پشت سر نهند. به عنوان مثال تخصیص
بازار مواد غذایی برای اینکه همه بتوانند دستکم مواد غذایی اساسی را
خریداری کنند. کشورهای شمال می توانند از یک چنین تصمیمی حمایت کرده و
همکاری کنند.
6- در این میان نباید فراموش کنیم که در بسیاری از
کشورهای جنوب حتی کارگران رسمی نیز حمایت نمی شوند. ما در قبال آنها متعهد
هستیم زیرا کفش، لباس و کامپیوترهای ما را تولید می کنند. کارگرانی که در
خط تولید و در خدمت برندهای بزرگ پوشاک، انفورماتیک و مواد غذایی قرار
دارند. وضعیت کنونی باعث تعطیلی سراسری در کشورهایی چون بنگلادش، ویتنام،
کامبوج و نیز صربستان، آلبانی و سایر کشورهای شرق اروپا گردیده است.
برندهای معروف باید در قبال آنها وجدانشان را بیدار کنند و به یاد بیاورند
که به لطف کار سخت آنها در قبال دریافت دستمزدهای اندک موفق به کسب سود
گردیده اند و اکنون به سبب توقف سفارش ها باید خود را موظف بدانند به آنها
کمک کنند. در بودجۀ آنان خللی وارد نخواهد شد در عوض صفحۀ تازه ای در تاریخ
حقوق کارگران در سطح جهانی نوشته خواهد شد.
اداره کل رسانه های خارجی
ترجمه: مریم شرکاء
https://www.avvenire.it/opinioni/Pagine/il-vero-costo-del-lockdown-stato-scaricato-sui-poveri
Avvenire
Coronavirus. Il vero costo del «lockdown» è stato scaricato sui poveri
________________________________________
Francesco Gesualdi venerdì 9 ottobre 2020
Gli effetti della contrazione dell’economia sulle categorie meno protette
Quando
la scienza si dichiara impotente si riscoprono i vecchi rimedi e di
fronte a un virus sconosciuto e altamente aggressivo, così si è usato
l’isolamento come principale forma di difesa. Per primo l’ha
sperimentato la Cina, poi è toccato all’Italia, alla Spagna, alla
Francia e a tutte le altre nazioni del mondo. E se in un primo momento
sembrava che il disagio maggiore fosse per la perdita di libertà di
movimento, ben presto abbiamo capito che le conseguenze peggiori erano
sul piano economico. Perché assieme alle porte delle case si sono chiuse
anche quelle degli uffici, dei negozi, delle fabbriche. E se gli
economisti si preoccupavano per il Pil, noi ci preoccupavamo per la
nostra sopravvivenza: di che saremmo campati se non potevamo più recarci
al lavoro? La tecnologia ha cercato di rassicurarci dicendoci che
avremmo lavorato a distanza con i computer. Una forma di lavoro
addirittura più comoda, più sostenibile, più soddisfacente, in una
parola più smart per dirla all’inglese. Ma il Fondo Monetario
Internazionale ha gettato acqua sul fuoco: in un recente articolo ci ha
informato che il telelavoro non è per tutti. Non solo perché richiede
un’attrezzatura e una connessione che non tutti hanno, ma anche perché
non si addice a chi deve produrre beni o a chi deve rendere servizi
diretti.
La conclusione è che il telelavoro ha buone possibilità di
espandersi nelle economie ad alta incidenza di servizi di concetto,
molto meno in quelle basate sul manifatturiero, sull’agricoltura, sulle
costruzioni. Il che mette subito fuori gioco gran parte dei paesi del
Sud del mondo dove il grosso delle famiglie vive ancora di agricoltura o
di piccoli servizi resi in ambito urbano. Fra le economie avanzate,
quelle a più alta capacità di telelavoro sono Norvegia, Svezia,
Singapore, mentre Italia e Grecia si trovano ai gradini più bassi. Da
una ricerca condotta da Tito Boeri e altri, risulterebbe che solo il 23%
dei lavori svolti in Italia possono essere eseguiti da remoto,
principalmente in ambito amministrativo, finanziario, educativo. Ciò
nonostante la Cgil sostiene che in Italia il telelavoro è passato da
500mila unità prima della pandemia a otto milioni durante il lockdown,
il 35% di tutti gli occupati. Ma solo il 3% dei telelavoranti ha un
diploma di scuola media inferiore, mentre quelli con laurea sono il 45%.
Considerato che le mansioni più facilmente informatizzabili sono quelle
intellettuali e ad alto titolo di studio, non c’è da stupirsi se il
Fondo Monetario Internazionale conclude che il telelavoro non è cosa per
poveri.
Durante il lockdown, i lavoratori di tutto il mondo si sono
divisi in tre gruppi: quelli che hanno continuato a lavorare recandosi
sul posto lavoro, quelli che hanno virato al telelavoro e quelli che lo
hanno sospeso. Secondo l’Ocse le percentuali dei tre gruppi per l’Italia
sono 25, 41, e 34%, ma ci vorrà ancora del tempo per sapere se tali
stime possono essere confermate. In ogni caso sembra accertato che
l’Italia, insieme a Canada e Gran Bretagna, è fra i paesi che ha
registrato il maggior numero di lavoratori sospesi. Complessivamente,
l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil) stima che nel secondo
trimestre 2020 le ore lavorate a livello mondiale si sono contratte del
17,3% rispetto al quarto trimestre del 2019, qualcosa corrispondente al
lavoro di quasi mezzo miliardo di lavoratori a tempo pieno. Ma le
conseguenze non sono state uguali per tutti. Meno peggio è andata ai
lavoratori dei paesi ad economia avanzata dotati di buoni ammortizzatori
sociali. Tipico il caso dell’Italia che già dal 1945 dispone della
Cassa integrazione guadagni, il fondo istituito presso l’Inps per
assistere i lavoratori occupati in imprese afflitte da momentanee
difficoltà economiche. Altrettanto vale per la Francia attrezzata col
programma denominato Activité partielle, per la Germania provvista del
Kurzarbeit, per l’Australia dotata del Job Keeper Payment, per l’Olanda
munita del Dutch Emergency Bridging Measure. Si stima che nell’insieme
dei paesi Ocse, i lavoratori assistiti da programmi governativi in
occasione del lockdown siano stati 60 milioni. Solo in Italia, secondo
la Uil, sono stati 8,4 milioni, operazione resa possibile grazie alla
decisione del governo di potenziare il sistema della Cassa integrazione
per tutto il 2020 con una somma che secondo i calcoli dell’Ufficio
Parlamentare di Bilancio ammonta a 22 miliardi di euro. E non è tutto.
Ad
essi vanno aggiunti altri 8 miliardi di euro stanziati per fornire
assegni una tantum, di importo variabile fra i 500 e i 1.000 euro, a una
platea di altri milioni di persone formate da lavoratori domestici,
lavoratori stagionali, partite Iva, piccoli professionisti, insomma
tutto quel variegato mondo di lavoratori autonomi e parasubordinati che
pur godendo di inquadramento giuridico soffrono di un alto livello di
precarietà. Peggio di loro solo i lavoratori del sommerso, i dannati
dell’economia informale, che alla precarietà aggiungono l’illegalità. E
proprio perché illegali è come se non esistessero. Inesistenti eppure i
più numerosi. Per l’Organizzazione Internazionale del Lavoro i
lavoratori informali sono due miliardi, il 62% di tutti gli occupati a
livello globale. Addirittura il 90% nei paesi a basso reddito, per
scendere al 67% nei paesi a reddito medio e al 18% in quelli ad alto
reddito. A seconda dei continenti, li incontri nelle discariche, nei
mercati generali, nei campi, ma anche nei piccoli laboratori gestiti da
padroncini anch’essi illegali. Il blocco della produzione nei paesi ad
economia avanzata si è ripercossa come uno tsunami sulle economie dei
paesi più poveri.
La riduzione delle esportazioni, il crollo dei
prezzi delle materie prime, hanno ridotto anche i consumi e le attività
interne con un effetto a catena su tutta l’economia. E come se non
bastasse si sono ridotte anche le rimesse degli emigranti, i soldi che i
lavoratori emigrati mandano alle proprie famiglie rimaste nei paesi di
origine. La Banca Mondiale stima che quest’anno a causa del lockdown i
soldi inviati dai migranti verso i paesi più poveri subiranno una
contrazione del 20%, passando da 554 a 445 miliardi di dollari. Cento
miliardi in meno che non peggioreranno solo la condizione delle famiglie
riceventi, ma di molte altre per l’aumento della disoccupazione che i
minori consumi provocheranno. E l’Oil avverte: la povertà avanzerà
ovunque se non si prendono provvedimenti a favore dei lavoratori
dell’economia informale. Ma l’unico ad avere accolto l’appello è stato
Papa Francesco che proprio il giorno di Pasqua ha in- viato una lettera
ai movimenti che organizzano i lavoratori informali del Sud lanciando
una grande sfida: «Forse è arrivato il momento di pensare a un salario
universale che dia dignità ai lavori insostituibili che svolgete. Un
salario garantito affinché nessun lavoratore sia privato dei propri
diritti».
Utopia? Forse, ma l’Organizzazione Internazionale del
Lavoro suggerisce anche iniziative poco costose per sostenere i
lavoratori più fragili, iniziative che pur non dando piena risposta alla
sollecitazione di Papa Francesco, aiutano a superare le difficoltà
create dal lockdown. Ad esempio sovvenzionando il mercato dei generi
alimentari affinché tutti possano comprare almeno gli alimenti di base. I
paesi del Nord potrebbero facilitare una scelta in tal senso attivando
una linea di cooperazione appositamente dedicata, ricordandosi che
quando la povertà si fa prepotente, altri due mostri rialzano la testa:
la schiavitù e il lavoro minorile. La schiavitù come conseguenza
dell’indebitamento e il lavoro minorile come tentativo per integrare i
ridotti guadagni degli adulti. L’Oil stima che a causa della crisi
provocata dal Covid, quest’anno altri 42–66 milioni di bambini
potrebbero essere inghiottiti dalla miseria estrema, aggiungendosi ai
386 milioni che già versavano in questa condizione nel 2019.
E nel
frattempo non dobbiamo dimenticare che in molti paesi del Sud neanche i
lavoratori formali sono stati sostenuti. Lavoratori verso i quali
abbiamo degli obblighi perché producono le nostre scarpe, le nostre
camicie, i nostri computer. Lavoratori inseriti in filiere produttive
talvolta al servizio esclusivo dei grandi marchi dell’abbigliamento,
dell’informatica, dell’alimentazione. Il lockdown ha provocato
sospensioni di massa in paesi come il Bangladesh, il Vietnam, la
Cambogia, ma anche Serbia, Albania e altri paesi dell’Europa dell’Est.
Nei loro confronti i grandi marchi dovrebbero mettersi una mano sulla
coscienza, ricordarsi dei tanti profitti che hanno potuto realizzare
grazie al lavoro duro e malpagato effettuato dai lavoratori di questi
paesi e accettare di indennizzarli per la sospensione delle commesse. I
loro bilanci non ne risentirebbero, mentre si scriverebbe una nuova
pagina nella storia dei diritti dei lavoratori a livello globale.